In un'epoca dominata da produzioni usa-e-getta e
basi ritmiche intercambiabili, ascoltare un album come questo, la cui
pubblicazione è del 24 ottobre, è prima di tutto un'esperienza uditiva di rara
soddisfazione. È un'opera che rivendica con orgoglio il ruolo del produttore
come autore, un lavoro dove ogni suono, ogni silenzio e ogni strato
dell'arrangiamento è caricato di significato. È un disco che "suona"
in modo impeccabile, e questo suono non è un semplice abbellimento: è il
veicolo principale del messaggio.
L'architettura sonora attinge a piene mani dal neo-soul
e dal nu-jazz di matrice londinese, un background che l'artista (produttore
di base a Londra) padroneggia. Ma non si tratta di un'imitazione. È
un'appropriazione. Il groove è il motore immobile del disco: il giro di
basso di "6 VESTUTO A 8" è un saggio di funk, una linea
ipnotica che crea una tensione perfetta con la batteria sincopata e le chitarre
ritmiche. La produzione qui è "viva", organica; si sente il respiro
degli strumenti, e la voce (incluso quella di Greg Rega) è trattata come uno
strumento ritmico che si incastra nel pocket.
Questa energia cinetica si ritrova anche in "MA
CHE MARONN", un brano che stratifica il funk con un'ironia quasi-pop
nel ritornello. È un pezzo di produzione complessa, dove suoni diversi (dalle
percussioni ai cori) entrano ed escono senza mai affollare il mix.
Ma la vera maestria del produttore emerge nei
cambi di atmosfera. A questa energia si oppone il vuoto sonoro di "VA A
FÁ Ó CAFÉ". Qui la produzione si fa scura, spaziosa, quasi
minimalista. Il beat è compassato, i riverberi sono lunghi: è un soundscape che
evoca perfettamente l'alienazione e la "pigrizia intellettuale"
descritte nel testo. È la dimostrazione che il suono è il messaggio.
Lo stesso vale per la malinconia jazzata di "L’ARTISTA
IMPIEGATO". È un capolavoro di produzione Lo-Fi: la batteria è
leggermente "sporca", le chitarre sognanti, l'atmosfera notturna. Il
suono imperfetto e vissuto del brano riflette la precarietà e la fatica del
testo.
Infine, c'è l'uso del campionamento come sound
design. Gli skit non sono semplici intermezzi. In "SENESE’S
CODE" e "PE VIAGGIÁ", le voci di Senese e Troisi sono
trattate come found sound, decontestualizzate e integrate nel tessuto
musicale, diventando texture. Il culmine è la title track, "UNSAPIENS":
un brano cinematografico, quasi ambient, dove la voce dello scienziato Telmo
Pievani non è un discorso, ma un elemento sonoro che incombe sull'ascoltatore,
definendo il tono filosofico dell'opera.
Questo album è un'opera da produttore. È la
dimostrazione che si può fare critica sociale e antropologica non solo con le
parole, ma costruendo un universo sonoro che costringe l'ascoltatore a sentire
l'alienazione, il groove, la precarietà e l'orgoglio. Un ascolto straordinario.
