L'architettura del suono. "Unsapiens" è un'opera di sound design

nov 23, 2025 0 comments

 


In un'epoca dominata da produzioni usa-e-getta e basi ritmiche intercambiabili, ascoltare un album come questo, la cui pubblicazione è del 24 ottobre, è prima di tutto un'esperienza uditiva di rara soddisfazione. È un'opera che rivendica con orgoglio il ruolo del produttore come autore, un lavoro dove ogni suono, ogni silenzio e ogni strato dell'arrangiamento è caricato di significato. È un disco che "suona" in modo impeccabile, e questo suono non è un semplice abbellimento: è il veicolo principale del messaggio.

L'architettura sonora attinge a piene mani dal neo-soul e dal nu-jazz di matrice londinese, un background che l'artista (produttore di base a Londra) padroneggia. Ma non si tratta di un'imitazione. È un'appropriazione. Il groove è il motore immobile del disco: il giro di basso di "6 VESTUTO A 8" è un saggio di funk, una linea ipnotica che crea una tensione perfetta con la batteria sincopata e le chitarre ritmiche. La produzione qui è "viva", organica; si sente il respiro degli strumenti, e la voce (incluso quella di Greg Rega) è trattata come uno strumento ritmico che si incastra nel pocket.

Questa energia cinetica si ritrova anche in "MA CHE MARONN", un brano che stratifica il funk con un'ironia quasi-pop nel ritornello. È un pezzo di produzione complessa, dove suoni diversi (dalle percussioni ai cori) entrano ed escono senza mai affollare il mix.

Ma la vera maestria del produttore emerge nei cambi di atmosfera. A questa energia si oppone il vuoto sonoro di "VA A FÁ Ó CAFÉ". Qui la produzione si fa scura, spaziosa, quasi minimalista. Il beat è compassato, i riverberi sono lunghi: è un soundscape che evoca perfettamente l'alienazione e la "pigrizia intellettuale" descritte nel testo. È la dimostrazione che il suono è il messaggio.

Lo stesso vale per la malinconia jazzata di "L’ARTISTA IMPIEGATO". È un capolavoro di produzione Lo-Fi: la batteria è leggermente "sporca", le chitarre sognanti, l'atmosfera notturna. Il suono imperfetto e vissuto del brano riflette la precarietà e la fatica del testo.

Infine, c'è l'uso del campionamento come sound design. Gli skit non sono semplici intermezzi. In "SENESE’S CODE" e "PE VIAGGIÁ", le voci di Senese e Troisi sono trattate come found sound, decontestualizzate e integrate nel tessuto musicale, diventando texture. Il culmine è la title track, "UNSAPIENS": un brano cinematografico, quasi ambient, dove la voce dello scienziato Telmo Pievani non è un discorso, ma un elemento sonoro che incombe sull'ascoltatore, definendo il tono filosofico dell'opera.

Questo album è un'opera da produttore. È la dimostrazione che si può fare critica sociale e antropologica non solo con le parole, ma costruendo un universo sonoro che costringe l'ascoltatore a sentire l'alienazione, il groove, la precarietà e l'orgoglio. Un ascolto straordinario.

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