“La resa” è un brano che parla del momento in cui mettiamo da parte noi stessi, sopraffatti dalle difficoltà della vita. Quando la forza per lottare viene meno e ci concediamo alla mera sopravvivenza, in quel momento smettiamo di vivere e perdiamo il nostro significato.
“La resa” è stato uno dei primi pezzi scritti dal cantautore e anche uno dei suoi primi approcci alla produzione. La musica è stata interamente composta da Finecielo e successivamente registrata in studio con la sua band.
Com’è nata la tua attitudine verso la musica?
Quasi per gioco, per scherzo.
Imbracciai una chitarra per la prima volta a tredici anni, grazie ad un laboratorio extra scolastico gestito dal mio professore di musica dell’epoca. Se devo essere sincero, non ricordo esattamente il motivo che mi spinse a provare lo strumento (verosimilmente per far colpo sulle ragazze), ma decisi di dargli una possibilità.
Una schitarrata dopo l’altra, mi sono fatto strada nel mondo delle sei corde, imparando prima gli accordi base, e azzardando successivamente qualche risalita del manico, per le parti più melodiche o soliste. Fu quando però scoprii il blues che la mia vita artistica svoltò definitivamente: fu un amore a prima vista che non mi abbandonò più, e che plasmò radicalmente il mio modo di suonare la chitarra e di approcciare la musica.
A quale artista ti sei ispirato nel corso degli anni?
Posso individuare le origini della mia passione per la chitarra (e per il canto) nel blues, la prima forma musicale che abbia mai intercettato il mio animo, stregandolo: i motivi alla base del blues, mi hanno fatto comprendere il potere della condivisione, della catarsi artistica, e che un vecchio bracciante dell’Alabama può tenere in scacco il mondo intero con una chitarra acustica scassata e qualche dramma amoroso ben conservato. Mi ha anche insegnato una delle lezioni più importanti della mia vita da musicista: usa l’orecchio! Non essendo mai stato una grande studente di teoria musicale, gran parte di quello che ho imparato sullo strumento proviene da un ossessivo ascolto dei miei dischi preferiti, e dal tentativo di emulare ciò che sentivo: è un percorso ostico, ma ripaga immensamente.
L’amore per la canzone italiana la devo invece al grande cantautorato delle origini. Credo sia alquanto evidente la mia discepolanza Faberiana, dal quale ho mutuato anche la passione per il ‘racconto musicale’, ovvero la trasposizione in musica delle storie di vita quotidiana. Da Guccini a Dalla, da De Gregori a Vasco, passando per il sodalizio iperuranico con Gianmaria Testa, la grande musica del nostro paese si è fusa in quello che potete ascoltare ora, facendomi capire il potere che la lingua italiana possiede nella commistione di musica e versi, e che non abbiamo molto da invidiare in tal senso ai grandi cantautori d’oltreoceano, che pure sono stati per me una grande fonte d’ispirazione.
Concludendo: l’irruenza blues (e direi, traslando, rock) e la dolcezza cantautorale convivono in me, rivelandosi in varia misura a seconda delle occasioni. Proprio per questo non mi faccio mancare niente, e qualche volta ci scappa pure l’assolo selvaggio...senza esagerare.
In che modo nasce una tua canzone?
Sempre allo stesso modo: un giorno insospettabile, in cucina, davanti ad un caffè. Nasce poi dall’esigenza di far chiarezza con me stesso, una sorta di strumento curativo. Infine nasce velocemente, in maniera esondante, in accordo con la sua natura viscerale.
Le canzoni sono una questione d’attesa: sono loro ad arrivare a me, attraverso il tempo e la vita vissuta, per consegnarsi come una sorta di verità. Il mio scopo non è altro che riportare.
Ci parli di come è nato il tuo nuovo singolo?
Il pezzo vuole mettere in luce un particolare aspetto della vita umana: l’abbandono di sé stessi, inteso come deviazione da quei principi fondamentali che regolano il nostro incedere nella vita. Questo fatto è strettamente legato a ciò che penso degli esseri umani in generale: ovvero che siano portatori ciascuno di un messaggio unico e irripetibile, un gesto che li contraddistingue e che li rende speciali definendone il loro posto nel mondo.
In tal senso, credo che il senso della vita risieda proprio nell’onorare quel gesto, protraendolo come una sorta di ringraziamento, fino al massimo delle sue possibilità.
E’ per questo che mi colpisce molto a livello narrativo la disunione: quando ci si concede ad una piccola morte, e si getta la vita come un’occasione sprecata.
Cosa deve aspettarsi chi ascolterà il tuo nuovo singolo?
Semplicità e attenzione per la scrittura, due cose che da sempre tengo bene a mente nel dar vita alle mie canzoni.
Hai già in programma date live?
Non molte, purtroppo.
Al momento mi sto concentrando maggiormente sull’aspetto della promozione digitale, e di conseguenza sulla produzione di materiale media.
Posso comunque anticipare un live che si terrà la sera del 17 maggio in Villa Lattes (Istrana, TV), per l’associazione culturale Eruditio: una serata d’atmosfera nella stupenda cornice di una villa del 700. Vi aspetto numerosi!
Com’è nata la tua attitudine verso la musica?
Quasi per gioco, per scherzo.
Imbracciai una chitarra per la prima volta a tredici anni, grazie ad un laboratorio extra scolastico gestito dal mio professore di musica dell’epoca. Se devo essere sincero, non ricordo esattamente il motivo che mi spinse a provare lo strumento (verosimilmente per far colpo sulle ragazze), ma decisi di dargli una possibilità.
Una schitarrata dopo l’altra, mi sono fatto strada nel mondo delle sei corde, imparando prima gli accordi base, e azzardando successivamente qualche risalita del manico, per le parti più melodiche o soliste. Fu quando però scoprii il blues che la mia vita artistica svoltò definitivamente: fu un amore a prima vista che non mi abbandonò più, e che plasmò radicalmente il mio modo di suonare la chitarra e di approcciare la musica.
A quale artista ti sei ispirato nel corso degli anni?
Posso individuare le origini della mia passione per la chitarra (e per il canto) nel blues, la prima forma musicale che abbia mai intercettato il mio animo, stregandolo: i motivi alla base del blues, mi hanno fatto comprendere il potere della condivisione, della catarsi artistica, e che un vecchio bracciante dell’Alabama può tenere in scacco il mondo intero con una chitarra acustica scassata e qualche dramma amoroso ben conservato. Mi ha anche insegnato una delle lezioni più importanti della mia vita da musicista: usa l’orecchio! Non essendo mai stato una grande studente di teoria musicale, gran parte di quello che ho imparato sullo strumento proviene da un ossessivo ascolto dei miei dischi preferiti, e dal tentativo di emulare ciò che sentivo: è un percorso ostico, ma ripaga immensamente.
L’amore per la canzone italiana la devo invece al grande cantautorato delle origini. Credo sia alquanto evidente la mia discepolanza Faberiana, dal quale ho mutuato anche la passione per il ‘racconto musicale’, ovvero la trasposizione in musica delle storie di vita quotidiana. Da Guccini a Dalla, da De Gregori a Vasco, passando per il sodalizio iperuranico con Gianmaria Testa, la grande musica del nostro paese si è fusa in quello che potete ascoltare ora, facendomi capire il potere che la lingua italiana possiede nella commistione di musica e versi, e che non abbiamo molto da invidiare in tal senso ai grandi cantautori d’oltreoceano, che pure sono stati per me una grande fonte d’ispirazione.
Concludendo: l’irruenza blues (e direi, traslando, rock) e la dolcezza cantautorale convivono in me, rivelandosi in varia misura a seconda delle occasioni. Proprio per questo non mi faccio mancare niente, e qualche volta ci scappa pure l’assolo selvaggio...senza esagerare.
In che modo nasce una tua canzone?
Sempre allo stesso modo: un giorno insospettabile, in cucina, davanti ad un caffè. Nasce poi dall’esigenza di far chiarezza con me stesso, una sorta di strumento curativo. Infine nasce velocemente, in maniera esondante, in accordo con la sua natura viscerale.
Le canzoni sono una questione d’attesa: sono loro ad arrivare a me, attraverso il tempo e la vita vissuta, per consegnarsi come una sorta di verità. Il mio scopo non è altro che riportare.
Ci parli di come è nato il tuo nuovo singolo?
Il pezzo vuole mettere in luce un particolare aspetto della vita umana: l’abbandono di sé stessi, inteso come deviazione da quei principi fondamentali che regolano il nostro incedere nella vita. Questo fatto è strettamente legato a ciò che penso degli esseri umani in generale: ovvero che siano portatori ciascuno di un messaggio unico e irripetibile, un gesto che li contraddistingue e che li rende speciali definendone il loro posto nel mondo.
In tal senso, credo che il senso della vita risieda proprio nell’onorare quel gesto, protraendolo come una sorta di ringraziamento, fino al massimo delle sue possibilità.
E’ per questo che mi colpisce molto a livello narrativo la disunione: quando ci si concede ad una piccola morte, e si getta la vita come un’occasione sprecata.
Cosa deve aspettarsi chi ascolterà il tuo nuovo singolo?
Semplicità e attenzione per la scrittura, due cose che da sempre tengo bene a mente nel dar vita alle mie canzoni.
Hai già in programma date live?
Non molte, purtroppo.
Al momento mi sto concentrando maggiormente sull’aspetto della promozione digitale, e di conseguenza sulla produzione di materiale media.
Posso comunque anticipare un live che si terrà la sera del 17 maggio in Villa Lattes (Istrana, TV), per l’associazione culturale Eruditio: una serata d’atmosfera nella stupenda cornice di una villa del 700. Vi aspetto numerosi!