Moostroo: prima “Male” poi staremo a vedere…

mar 14, 2023 0 comments
 

Risuonano gli anni ’90 ma anche quel certo piglio urbani di periferia moderna, quel modo sottile e trasparente di pensare agli arrangiamenti digitali. C’è malinconia dentro “Male”, il primo di un doppio album firmato dai Moostroo, al secolo Dulco Mazzoleni, Francesco Pontiggia e Igor Malvestiti, disco che nella sua accezione fisica si presenta dentro Tarocchi (uno per ogni brano) disegnati da Lucrezia Fontana in arte Aizer. Rock ancestrale, pop meditativo, tonalità di grigio dentro quel sapore adolescenziale con cui pensare alla canzone. Serate scure di pub e locali, di quando la vita sapeva di indipendenza. Dunque eccoci tra le pieghe di questo primo di un doppio disco. Oggi “Male”… poi? Staremo a vedere…
 
Un trio che torna con un doppio album. Oggi “Male”… il “Bene” a quando?
Non si tratta di un doppio album, ma di due album in dialogo tra loro. Bene uscirà verosimilmente l’anno prossimo. Tra l’altro stiamo meditando di cambiagli titolo in “Peggio”.
 
E perché partire con “Male”…? Domanda scontata ma impossibile da evitare…
Quando una persona si sente malinconica non ascolta canzoni allegre, ti sale la carogna furiosa se ascolti canzoni allegre. Invece le canzoni malinconiche addolciscono l’animo e fanno da ponte verso una nuova luce. Allo stesso modo dopo la nefasta congiuntura pandemica, parlare di male ci sembrava la via maestra per poi arrivare al bene. Iniziare subito da “Bene” avrebbe scatenato la furia che alberga in noi… che tu magari dici: “Ben venga la furia”. Ti ricordiamo che Furia era un cavallo famoso poi andato al macello. Negli ultimi anni abbiamo prodotto un buon numero di canzoni. Ci siamo trovati quindi con in mano un corposo materiale che abbiamo deciso di dividere in due dischi. Trattiamo il rapporto conflittuale e complementare tra la carogna che sale e la tenerezza che abbraccia, tra lo schiaffo e la carezza, tra la bresaola e Furia cavallo del West.
 
L’underground italiano anni ’90 certamente è la cifra stilistica di tutto o quasi tutto… penso che questo disco se fosse uscito in quel tempo avrebbe avuto ben altra storia. Cosa ne pensate?
Il disco è un prodotto di questi ultimi tre anni, suona come questi ultimi tre anni. Che rimandi agli anni ’90 può darsi nella scelta di alcuni effetti in post-produzione  e forse anche per lo stile musicale, ma questo non ci pare faccia male ai tempi dei samples. Solo se si teme il tempo lo si segmenta a intervalli: il disco per noi è figlio del nostro tempo. In ogni caso per quanto ci riguarda, la ricerca dei suoni è stato un passo avanti del progetto.
In quel tempo, se la stagione era buona, limonavamo di brutto e protestavamo nei giorni pari, nei dispari disagio. Da manuale. Non è tanto il passato in questione, si tratta più di raccontare se stessi per quel che si è, con l’idea di rispecchiarsi negli altri, nell’umanità e nell’essere presenti a se stessi. Questo ci ha regalato il disagio degli anni ’90: spirito critico, sintonia emotiva e un uso capillare degli improperi. Nei ’90 c’erano meno risorse e meno intrattenimenti. Se poi tutto questo assomigli a un suono, può anche darsi, ma non siamo andati a cercarlo, ci siamo espressi.
Dopodichè, come cita il titolo del meraviglioso documentario su Joe Strummer, “The Future Is Unwritten” e negli anni ‘90 abbiamo già dato.

 
I tarocchi? Che ci dite in merito? Perché se non erro è questa la dimensione fisica del disco o sbaglio? 
La funzione del tarocco è di tradurre in immagine un’idea e, caricandola di valore simbolico e proiettivo, renderla un oracolo in grado di sollecitare maggiormente l’empatia e l’autoriflessione. Lucrezia ha tradotto in meravigliosi mostruosi disegni le sollecitazioni che noi le abbiamo dato in relazione a ciascuna canzone. L’idea è maturata in Do Ink Yourself, il collettivo di cui facciamo parte e l’idea è che Samu (giovane poeta della banda) legga i tarocchi dei MOOSTROO ai Live. Uno degli aspetti più interessanti del nostro progetto è proprio collaborare con altri creativi, amplifica e arricchisce le possibilità espressive, come è stato con Alessandro Villa, che cura le nostre foto-press già a partire dal precedente album.

“Apparenza”: nel video tanta vita quotidiana, tanti volti… ma poi ci sono due astronauti o alieni in arrivo sulla terra (o su un mondo altro). Cioè?
Essere troppo didascalici nei video, a partire da testi molto evocativi, ci pare poco efficace. Unendo i due linguaggi, ci interessa provocare chi guarda e ascolta, affinché possa interpretare a seconda del suo mood umorale. È un tentativo di attivare chi ci segue, viviamo in una stagione passivizzante, di intrattenimento, di armi di distrazione di massa, vogliamo schiaffeggiare l’attenzione altrui.
Nel video gli sguardi ravvicinano agli stati d’animo: si dice che lo sguardo sia lo specchio dell’anima, no? È la nostra ricerca di empatia, siamo sobillatori degli stati emotivi più inquietanti ma autentici. La comparsa degli astronauti è un simbolo iperbolico di evasione da un mondo attanagliato dall’apparenza, alla ricerca di una quiete che ci faccia ritrovare il baricentro del nostro essere umani, con tutte le nostre naturali fragilità e con tutti i nostri limiti.

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